Tuesday, June 9, 2009

Habitus: costituzione intersoggettiva

Ecco il breve Exposè che costituisce la base della presentazione del mio progetto di tesi di dottorato che terrò giovedì 11 p.v. alle ore 9.30 nell'ambito del Seminario di Fenomenologia.


Per una lettura veloce consiglio la lettura dei soli punti 2. e 4.

Exposè

A giovedì




Emanuele Caminada

Sunday, May 31, 2009

IL "CERVELLO SOCIALE" E LA NEUROBIOLOGIA DELLE RELAZIONI INTERPERSONALI


Al pari della voluminosa indagine sulla “mente relazionale” pubblicata da Daniel Siegel nel 1999, il libro di Louis Cozolino, Il cervello sociale. Neuroscienze delle relazioni umane, (Raffaello Cortina Editore, Milano 2008), è una lettura particolarmente accattivante per tutti coloro che siano interessati allo studio dell’intersoggettività dal punto di vista delle scienze cognitive.

Animato dall’idea che l’individuo non possa mai essere considerato in isolamento rispetto alle dinamiche sociali nelle quali è inserito, l’autore introduce il concetto di “sinapsi sociale” per definire la complessità e la struttura di queste relazioni. Egli, infatti,  non soltanto propone un’analogia fra i meccanismi che operano a livello delle reti neurali e il modo in cui le persone interagiscono, bensì sostiene che il cervello umano sia radicalmente intersoggettivo fin dalle origini e venga continuamente plasmato e rimodellato dalla varietà delle relazioni di cui facciamo esperienza. Queste sono le connessioni che Cozolino vuole illustrare e tutto il testo è dedicato ai meccanismi neurobiologici che le costituiscono e che sono responsabili non solo del loro funzionamento ordinario, ma anche di patologie dell’intersoggettività come la fobia sociale, il disturbo di personalità borderline e l’autismo.

Superando la staticità del dibattito che oppone rigidamente natura e cultura, Cozolino avanza l’ipotesi che le funzioni della mente vengano plasmate costantemente dall’interazione fra processi neurofisiologici interni e relazioni interpersonali. Come evidenziato su più fronti dalla ricerca empirica, il cervello sarebbe dunque caratterizzato da un’ampia “plasticità esperienza-dipendente” che gli permetterebbe di ristrutturare nel tempo le attività della mente sulla base delle nostre vicende di apprendimento.

Benché la malleabilità delle strutture cerebrali non sia limitata ai primi anni di vita, secondo l’autore è pur vero che le relazioni vissute nelle prime fasi dello sviluppo influenzano profondamente i meccanismi neurobiologici e possono condizionare a lungo termine la regolazione e l’integrazione della mente adulta. Riprendendo la nozione di “schemi di attaccamento” introdotta da Bowlby, Cozolino fornisce un ricchissimo repertorio di esempi a favore dell’idea che le modalità di relazione sperimentate con le figure di riferimento (caretaker) nei primi anni di vita contribuiscano a definire dei modelli di sé e dell’altro che vengono conservati nella memoria sociale implicita influenzando profondamente le nostre aspettative e le successive interazioni. Attraverso l’attivazione delle reti neurali responsabili  dell’adattamento, dell’omeostasi, dello stress, della ricompensa o della paura, i rapporti con gli altri possono influenzare la struttura cerebrale favorendone o inibendone la crescita, facilitare l’integrazione di funzioni  cognitive e affettive, promuovere lo sviluppo di un senso di sé coerente e permettere alla memoria esplicita di articolarsi normalmente. Come testimoniano tristemente gli effetti devastanti di forme di attaccamento evitanti, ambivalenti o disorganizzate, il cervello sociale può essere gravemente danneggiato dalle dinamiche scatenate durante l’infanzia ed è proprio su queste disfunzioni che un approccio psicoterapeutico efficace dovrebbe concentrarsi. Il dialogo instaurato con il terapeuta avrebbe infatti la possibilità di riattivare i processi neuroplastici relativi all’attaccamento, facilitando i meccanismi biochimici che permettono di modificare le strutture neurali. In altri termini, come ogni relazione interpersonale, la psicoterapia agirebbe direttamente a livello del cervello sociale, promuovendo nuovi modelli di relazione che influiscono sulla “memoria del futuro” e  aumentano la regolazione e l’integrazione delle funzioni mentali.

Benché contribuisca giustamente a sottolineare l’importanza di una “psicoterapia personale”, la posizione di Cozolino anche in questo frangente riflette l’aspetto più discutibile del suo lavoro, ovvero l’implicita identificazione del livello personale e subpersonale dell’esperienza. In questo contesto la psicoterapia viene interpretata come la possibilità di agire sulle connessioni neurali del paziente influenzando il funzionamento del cervello sociale, così come ogni relazione interpersonale ha la capacità di modificare direttamente i circuiti cerebrali. Si ha dunque l’impressione che nel testo la necessaria distinzione fra i livelli descrittivi non sia preservata e venga invece suggerita in modo pervasivo l’equivalenza fra dinamiche mentali e neurobiologiche, un’equivalenza che a ben vedere non rispecchia la reale struttura della nostra esperienza. Cozolino fornisce molto materiale a supporto dell’idea che la dimensione personale dell’ esistenza sia dotata di specifici poteri causali eppure confonde subito questa interessante intuizione in una forma non molto sottile di riduzionismo, dove gli emisferi, e non le persone, “si parlano” ed è la corteccia, e non l’individuo, ad“imparare” o “ricordare”.

L’idea di creare un linguaggio comune e condivisibile per parlare del mondo delle relazioni umane esprime certamente un obiettivo centrale anche per la ricerca filosofica e tuttavia la convinzione che un approccio esclusivamente neurobiologico possa illustrare in modo esaustivo la struttura dell’esperienza umana è altamente discutibile. Sarebbe invece opportuno mantenere distinti i livelli neurobiologici, psichici e personali  dell’indagine e cercare di definire l’articolazione dell’esperienza in prima persona, la quale, come suggerisce la fenomenenologia, è sempre esperienza di qualcuno, ma non per questo è priva di oggettività. Come ricorda infatti Dan Zahavi,  esiste una differenza ben precisa fra un “resoconto dell’esperienza soggettiva” ed un “resoconto soggettivo dell’esperienza” ed è proprio la presenza di questa distinzione a rendere ancora oggi indispensabile la ricerca filosofica.

Tuesday, May 26, 2009

I Linguaggi delle Scienze Cognitive


I Linguaggi delle Scienze Cognitive
Convegno Nazionale dei Dottorati di Ricerca in Scienze Cognitive
Noto (SR), Palazzo Giavanti, 8-10 Giugno

8 giugno 2009
Aula Magna, ore 15,00-18,45
L’evoluzione dell’Evoluzione.A duecento anni dalla nascita di Darwin.
Frans de Waal,Telmo Pievani, Alessandro Minelli, Giorgio Vallortigara.
Interventi programmati. Coordina: Alessandra Falzone.

Aula Magna, ore 19,00Assegnazione del PremioCODISCO 2009

9 giugno 2009
Aula Magna, ore 9,00-10,45
Neuroestetica
Paolo D’Angelo, Francesco Casetti. Interventi programmati. Coordina: Giovanni Lombardo.

Auditorium e Sala conferenze, ore 11,00 - 13,30. Sessioni parallele dottorandi

Aula Magna, ore 15,00-16,45. Neuroetica e scienze sociali. Mario De Caro, Francesco Remotti. Coordina: Alessandro Nannini.

Auditorium e Sala conferenze, ore 17,00 – 18,45. Sessioni parallele dottorandi.

ore 19,00 Assemblea del Coordinamento
ore 20,30 Cena sociale

10 giugno 2009
Aula Magna, ore 9,00-13,00
L’io e la coscienza. Douglas R. Hofstadter (Indiana University).
Introduce: Pietro Perconti. Interventi programmati
Auditorium e Sala conferenze, ore 15,00 - 17,00 Sessioni parallele dottorandi

Tuesday, April 28, 2009

La percezione corporea nella costruzione del senso di “sé”: l'ipotesi dei ‘background feelings’ di A. Damasio

(Dr. Emilia Barile – Università di Siena)

Antonio Damasio per primo ha introdotto il concetto di «sentimenti di fondo» [background feelings] nel suo Descartes' Error. Con questo concetto si vuole sottolineare la natura intrinsecamente corporea di questo specifico tipo di ‘feeling’ (e non solo), misconosciuto (o, quantomeno, sottovalutato) dalla maggior parte degli approcci ‘standard’ al feeling - soprattutto quelli di stampo cognitivista (cfr. Frijda 1987, Ortony 1988, etc.). I principali ‘background feelings’ [fatigue; energy; excitement; wellness; sickness; tension; relaxation; surging; dragging; stability; balance; imbalance; harmony; discord] indicano la "temperatura" interna temporanea dell’organismo. Ciò che ‘sentiamo’ sono percezioni dello stato presente del corpo come un tutto, nel suo complesso.
La rappresentazione dello stato corporeo attuale o, come dice Damasio, online, così come cambia momento per momento, avviene su siti corticali (mappe della corteccia sensoriale-motoria, topograficamente organizzate in base a segnali provenienti dai muscoli) e sui siti subcorticali, non mappati, deputati alla ricezione di segnali provenienti dai visceri. Il risultato di tutti questi feedback corporei è il senso dell’organismo nel suo insieme, che è sempre presente, almeno sullo sfondo, finché non vi dirigiamo l'attenzione. La rappresentazione dello stato potenziale del corpo, invece, deriva dalla propriocezione e dall’interocezione (complessivamente indicate come enterocezione). La propriocezione - la percezione dei muscoli e della struttura scheletrica, che restituisce il senso della posizione del corpo nell’ambiente - e l’interocezione - la percezione del milieu interno e dei segnali provenienti dai visceri, concernente il senso di equilibrio omeostatico dell'organismo – assieme ai ‘background feelings’ costituiscono le principali modalità con cui percepiamo il nostro corpo.
Grazie a tale percezione di base, si costituisce anche il "senso di essere", la nostra identità biologica, che è il significato più ‘basso’, elementare possibile che possiamo attribuire alla parola "sè" (“sé biologico”). Come questo è collegato agli altri significati di ‘sé’, come "sé autobiografico", “sé sociale", e così via? Qual è il rapporto esistente tra la base corporea individuale e la possibilità della percezione soggettiva, in prima persona?

Riferimenti bibliografici essenziali


Wednesday, April 15, 2009

Essentials of Husserl's Phenomenology


Cologne-Leuven Summer School in Phenomenology Cologne, 27-31. July 2009


This Summer School will be held in English language and it should give an insight in the most central themes of husserlian phenomenology: intentionality, evidence, categorial intuition, the eidetic method, transcendental reduction, the levels of constitution, time-constitution, genetic analysis of prepredicative judgement, intersubjectivity, life-world and Husserl‘s critique of science.

The lecturers are: Prof. Dr. U. Melle (Leuven), Prof. Dr. D. Lohmar (Köln), Dr. J. Brudzinska(Köln / Warschau), Dr. A. Altobrando (Köln), Luis Niel and others t.b.d.

Time: Monday-Friday 27-31. July 2009
Each day 10.00-13.00 and 15.00-17.00
Room: University of Cologne, Main Building, Room 4.016
IMPORTANT: Written registration is required before June 10, 2009 because of limited capacities!
Registration is to be done with the secretary of the Cologne Husserl-Archive: Monika.Heidenreich@uni-koeln.de

Wednesday, April 1, 2009

Seminario di Fenomenologia


Ecco il programma provvisorio del Seminario di Fenomenologia per il Semestre estivo 2009.


Il Seminario ha luogo ogni Giovedì alle ore 11.30-13.30 presso il Palazzo Arese Borromeo di Cesano Maderno.

E' aperto a tutte le persone interessate!


info: phenomenologylab@gmail.com



Tuesday, March 31, 2009

La personificazione - di R. De Monticelli

Vito Mancuso esprime dal punto di vista teologico ed ecclesiologico, un’idea semplice e grandiosa, quando invita i cattolici a rinnovare “la svolta positiva che il Vaticano II ha introdotto fra cattolici e storia”, estendendola “al rapporto con la natura”. Vista dal versante neuroscientifico, etico e filosofico questa è l’idea stessa che ha portato a fondare una facoltà filosofica di concezione tutta nuova, come la nostra al san Raffaele. L’evento cosmico cui noi umani assistiamo da che esistiamo – lo stupefacente emergere della personalità e dei suoi mondi dalla materia e dall’energia di cui siamo fatti – dopo aver finalmente penetrato, con la modernità, la nostra consapevolezza e la nostra scienza, chiede oggi alla nostra ragione pratica – morale, giuridica, politica oltre che religiosa - di farsene carico. La nostra ragione matura con noi. Forse quello che veramente caratterizza l’intero “tempo moderno”, sempre più incisivamente e rapidamente, è la crescita relativa della vita personale rispetto a quella sub-personale, che la nutre e sostiene. Cresce la parte di “natura umana” che ciascuno di noi “impersona”, che ingloba nella propria personalità morale e spirituale, e di cui è chiamato a farsi responsabilmente carico. Cresce la parte di vocazione e decresce quella di destino. Si allargano i confini della giurisdizione della coscienza morale di ciascuno: e questo vuol dire che molto più spirito si incarna e molta più natura si spiritualizza. Cioè si incorpora nella personalità degli individui: molti più fatti biologici, molti più legami sociali si fanno oggetto delle sensibilità personali. Per la responsabilità che ne portiamo ormai, nel bene e nel male. Oggi le posizioni del magistero cattolico in materia di etica pubblica si riconducono in gran parte a una volontà di limitare l’interpretazione personale della vita biologica, la sua “personificazione” : in nome della sua “indisponibilità”, in nome della “natura”. Peter van Inwagen, che non è “Roman Catholic”, ma quanto a tradizionalismo religioso non scherza, ha scritto che la distruzione della fiduca nella chiesa cattolica (intende la “chiesa universale” e invisibile del Simbolo Niceno, il Credo che si legge tutte le domeniche in tutte o quasi le numerosissime denominazioni cristiane del mondo, e non necessariamente la chiesa di Roma) è nell’agenda dell’Illuminismo, inteso non solo come movimento storico ma come atteggiamento intellettuale e morale (Essays in Philosophical Theology, Cornell University Press 1995, pp. 206-207). Se avesse ragione, allora naturalmente non solo l’apertura conciliare della chiesa alla modernità, al principio di autodeterminazione e alla libertà di coscienza sarebbe un episodio assurdo e finito, ma ancora più assurda sarebbe la speranza di Mancuso. Comunque stiano le cose quanto al problema metafisicamente assai minore (anche se purtroppo politicamente devastante oggi in Italia) dell’involuzione sorprendente, inquietante dell’ideologia delle gerarchie cattoliche italiane, il processo è irreversibilmente in corso, e merita tutta la nostra attenzione di filosofi. Le differenze personali nel modo di vivere la sessualità, la riproduzione della specie, la fine della vita attestano una “spiritualizzazione” della natura, un suo venire incorporata entro le vocazioni personali. Dove la biologia, il sesso, l’amore, la morte sono “impersonate”, come si può rispettare la natura senza rispettare le differenze fra le persone? Là dove la natura si impersona e la personalità si incarna, lo spirito vive e soffia potenzialmente di più, e non di meno, la sensibilità ai valori si allarga e non si restringe. E il pensiero per dar voce ed esattezza a questa nuova sensibilità è tutto da costruire: lavoro per molti di noi.

Thursday, March 26, 2009

Kimura Bin: tempo vissuto e angoscia originaria

Come Binswanger e Minkowski, Kimura Bin (in: Scritti di Psicopatologia e Fenomenologia) concentra spesso le proprie analisi della psicosi intorno alle modalità del tempo vissuto; in particolare, se in tutte le manifestazioni psicopatologiche si può ritrovare l’angoscia come fenomeno comune, Kimura si chiede se a ciascuna modalità specifica di fare esperienza del tempo corrisponda un tipo di angoscia differente.

Una prima forma di angoscia, per esempio, sembra legata all’autonomia del soggetto e si manifesta nel timore di “non poter arrivare a sé stessi”: il soggetto, infatti, non è un dato acquisito e stabilito una volta per tutte, piuttosto qualcosa da acquisire sempre nuovamente nell’incontro con l’altro e con il mondo, cioè in relazione con il “non-me”. L’angoscia di non realizzare la propria appartenenza a sé stessi, secondo Kimura, può prendere la forma di ansietà per l’avvenire nel suo essere sconosciuto e si osserva tipicamente negli individui schizofrenici. E’ un’angoscia determinata dal senso di imprevedibilità, “dal fatto che potrebbe succedere in qualsiasi momento qualche cosa che non è ancora presente”; contemporaneamente, si manifesta un’indifferenza stupefacente riguardo a ciò che si offre nel momento attuale o riguardo alle cose la cui presenza è, in qualche modo, assicurata.
Una seconda forma di angoscia è caratteristica degli stati melanconici e si presenta come preoccupazione di non poter rimanere nell’attuale assetto del proprio mondo personale: il tempo vissuto è così dominato da un’inclinazione verso il passato, “verso l’essere vissuto fino a quel momento”, a cui il pensiero si aggrappa non sopportando le crisi che mettono a repentaglio l’ordine del mondo conosciuto, dal quale deriva ogni prospettiva.

Si potrebbe notare, credo, una certa sintonia tra questo aspetto della tipologia melanconica e il rapporto con la temporalità che si accompagna alla schizofrenia: se quest’ultima, infatti, tende all’immobilità e si angoscia rispetto all’avvenire sconosciuto, il melanconico, così drammaticamente vincolato all’ordine attuale del suo mondo, si salvaguarda, a suo modo, dall’imprevedibile. La stessa tipica auto-accusa del melanconico potrebbe rappresentare per lui un modo meno angosciante di pensare il divenire riversando la dimensione del futuro nel passato: lo sguardo del melanconico cerca di ignorare l’apertura verso la possibilità, che implica il contatto con l’imprevedibile, rivolgendo ogni attenzione agli eventi già accaduti che, in quanto tali, sono più rassicuranti; anche Binswanger notava che proprio quando il tema melanconico cessa le sue trasformazioni, può irrompere una sensazione di vuoto e determinazione al suicidio (“Poi non si ha proprio più nulla al mondo”, diceva lo scrittore Reto Roos).

L’immobilità schizofrenica, così come l’autoaccusa melanconica si presentano in questa prospettiva come declinazioni differenti di un'unica forma di angoscia originaria. Mentre l’angoscia schizofrenica deriva dallo sforzo disperato per afferrare l’avvenire sconosciuto alla ricerca di garanzie contro l'imprevedibilità degli eventi, quella del melanconico, al contrario, afferra il soggetto quando egli cerca, invano, il conosciuto, nell'identico tentativo di assicurare stabilità al proprio mondo e vissuto personale.
L’angoscia originaria che “rende possibile tutti gli altri tipi di angoscia”, è rappresentata, secondo Kimura, dai momenti di profonda destrutturazione e disordine caratteristici degli stati epilettici. L’angoscia che si prova in questi casi, che i malati spesso associano alla sensazione “che l’universo intero sprofondi nell’inferno”, sembra legata, secondo Kimura, ad una percezione del tempo come puro presente. Kimura nota anche come questo “momento epilettico” di riduzione della temporalità al presente istantaneo e puntiforme possa avere un ruolo in diverse tipologie di disturbi mentali, come ad esempio nella psicosi maniacale o nella tossicomania.

Internationale Tagung der Max-Scheler-Gesellschaft


Religion una Metaphysik als Dimension der Kultur

3 bis 6 Juni 2009

Bischöfliches Priesterseminar Trier, Jesuitenstr. 13


www.max-scheler.de/forms/Programm.pdf

Wednesday, March 25, 2009

Seminario "Atti, norme e oggetti"

Laboratorio di Fenomenologia e Scienze della persona

Facoltà di Filosofia – UniHSR - Palazzo Arese Borromeo, Cesano Maderno

Organizzazione: Prof.ssa Roberta De Monticelli, Dott.ssa Francesca De Vecchi

Prof. Amedeo Giovanni Conte (Università di Pavia), Tricotomia del concetto di vero

29 aprile, 16.30-18.30

Dott. Alessandro Olivari (Università di Pavia), Il rapporto tra norme e realtà. Analisi del principio di significanza

30 aprile, 9.30-11.30

Dott. Stefano Colloca (Università di Pavia), Paradossi nel diritto

6 maggio, 16.30-18.30

Dott. Jakub Martewicz (Università Statale di Milano), Norma e atto in Czesław Znamierowski

7 maggio, 9.30-11.30

Prof. Giuseppe Lorini (Università di Cagliari), L’ontologia sociale di Czesław Znamierowski

14 maggio, 9.30-11.30

Dott. Lorenzo Passerini (Università Statale di Milano-Bicocca), Effetti intrinseci di atti istituzionali vs. conseguenze estrinseche di atti non istituzionali

20 maggio, 16.30-18.30

Dott. Nicola Muffato (Università di Trieste), Asserzione e norma di veridicità. Baro vs. mentitore

21 maggio, 9.30-11.30

Dott. Edoardo Fittipaldi (Università Statale di Milano), Debiti

27 maggio, 16.30-18.30

Prof. Mario Ricciardi (Università Statale di Milano), Normatività naturale

28 maggio, 9.30-11.30

Prof. Paolo Di Lucia (Università Statale di Milano), Eruv, La costituzione normativa delle entità istituzionali

3 giugno, 14.30-18.30

Tuesday, March 24, 2009

Filosofia sui Navigli

"Filosofia sui Navigli" - Un'iniziativa per ripensare insieme alcune tematiche del mondo contemporaneo.

Ogni domenica mattina dalle 10.15 alle 11.45 presso "El Brellin" in Vicolo dei Lavandai, angolo Alzaia Naviglio Grande, Milano


29 marzo “L’offesa e la colpa: considerazioni a partire da Caducità di Sigmund Freud

Prof Marco Fortunato, saggista filosofico


05 aprile “Platone: la politica come sguardo utopico rispettoso della legge”  

Prof. Maurizio Migliori, docente di Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata 


19 aprile La transizione  della democrazia italiana: bipolarismo, bipartitismo o…..”  

Prof. Nicola Pasini, docente di Scienza Politica all’Università degli Studi di Milano 


26 aprile “Il Teatro, che Fenomeno! Oltre il Fondale, il Noumeno?” 

Dott. Roberto Morpurgo, scrittore e cultore di filosofia


10 maggio “Meccanica quantistica e filosofia

Prof. Roberto Maiocchi, docente di Storia della Scienza all’Università Cattolica di Milano 


17 maggio “Crisi dei Valori e Diritto

Prof. Sante Cesqui docente di diritto commerciale all’Università Cattolica di Milano 


24 maggio “Le Virtù: il fascino attuale di Abiti Dimenticati”  

Prof. Matteo Amori, dottorando di ricerca in Filosofia teoretica all’Università Tor Vergata di Roma   


31 maggio "Hanìf: un invito coranico alla libertà dello spirito"

Prof. Massimo Jevolella, saggista islamologo


07 giugno "Leggere Dostoevskij per capire il nostro tempo"

Prof.ssa Milli Martinelli, saggista, ex docente di Lingua e Letteratura Russa all’Università IULM di Milano


14 giugno “L’uomo è, per sua tendenza, benevolente oppure guardingo e pauroso nei confronti del mondo e degli altri uomini?”

Prof. Salvatore Natoli, docente di filosofia teoretica dell’Università Bicocca di Milano. 


Friday, March 20, 2009

International Summer School in Affective Sciences 2009


The first International Summer School in Affective Sciences will take place from August 24 to September 3, 2009, in Chandolin (Switzerland).

The focus will be on "Emotion elicitation: appraisal, values and norms"

The registration deadline is April 26, 2009.

Tuesday, March 17, 2009

Fenomenologia e psicopatologia










Se l’impostazione e i modelli delle neuroscienze cognitive guidano oggi la maggior parte delle ricerche sulla natura e il funzionamento della mente, la psicopatologia, occupandosi della sofferenza psichica, non può certamente sottrarsi a questa forte influenza.

Così, può sembrare ormai pratica diffusa la riduzione di uno stato depressivo o ansioso all’attività di neurotrasmettitori come serotonina e noradrenalina, ma è in un’analisi dettagliata della struttura cerebrale, perfezionata soltanto recentemente, che l’intervento farmacologico comincia a trovare il proprio indispensabile punto di riferimento. Lo straordinario progresso che la ricerca neuroscientifica, in particolare neurobiologica, ha realizzato negli ultimi decenni ha infatti reso possibile la costruzione di fondamenti empirici (che in passato erano per lo più assenti) per l’orientamento biologico in psichiatria e psicopatologia.

Secondo questo tipo di orientamento le malattie mentali non vanno distinte da altri tipi di malattia su base somatica, avendo quindi origine in una disfunzione biologica localizzabile, ad esempio, nell’attività dei sistemi neurotrasmettitoriali. La sintomatologia e le sue infinite articolazioni, lungi dal costituire un orizzonte di significato utile anche in prospettiva terapeutica, non rappresenterebbe altro che l’espressione diretta di un’alterazione fisica che viene assunta a causa principale del disturbo (anche ammettendo aspetti psicosociali ed ambientali come possibili fattori scatenanti).

Una delle conseguenze principali di questo genere di assunzioni è il radicale ridimensionamento dell’analisi del vissuto soggettivo ai fini della teoria psicopatologica e della pratica psichiatrica. La lettura dell’esperienza diretta del paziente e del linguaggio con il quale esprime il suo personale allontanamento dalla dimensione della normalità e del senso comune assume un ruolo decisamente marginale rispetto alle metodiche oggettive dell’apparato scientifico, considerato spesso l’unico strumento affidabile per la comprensione dei meccanismi psicologici. Il dibattito sulla legittimità di questo approccio tende molto spesso a concentrarsi intorno alla possibilità che gli psicofarmaci non agiscano sulla malattia psichica intaccandone le cause, come sostenuto dalla psichiatria biologica, ma piuttosto si limitino a ridurre o eliminare temporaneamente la sintomatologia senza realizzare un autentico e stabile effetto curativo.

Questo modo di impostare la questione sembra ancora attuale in ambito clinico, ma per tentare di risolvere le problematiche di un approccio riduzionista alla vita mentale e personale è necessario spostarsi sul piano della riflessione filosofica. Non è difficile rintracciare nel tentativo di elaborare strategie terapeutiche concentrate unicamente sulla psicofarmacologia le conseguenze di un ben preciso atteggiamento teorico che all’interno del dibattito neuroscientifico e filosofico contemporaneo è ancora lontano dall’avere l’ultima parola. Le critiche mosse ai paradigmi riduzionisti, in tutte le loro forme, sono infatti molte e si basano, in genere, sulle difficoltà concettuali che sono implicate dal tentativo di inserire in un paradigma di tipo naturalistico l’ “effetto che fa” essere in un determinato stato mentale di consapevolezza.
Tuttavia, se l’irriducibilità della mente al cervello viene affrontata unicamente da questa prospettiva, impostando gli argomenti intorno ad una qualità esperienziale astrattamente considerata, le possibilità di integrare la descrizione scientifica della persona attraverso altri metodi di indagine non sono certo molte e il gap esplicativo resta, effettivamente, insuperabile. Interpretando l’esperienza altrui secondo questo senso “logico”, il contatto con coscienze oltre la mia non può che essere sbarrato. Non solo: indicando con l’idea di qualia l’essenza di ciò che appartiene al mio orizzonte personale e non incluso da una descrizione naturalistica, anche il contatto con la mia stessa coscienza risulta sfuggente. Da questo punto di vista, l’approccio fenomenologico può rappresentare un autentico “rimedio metodologico” al problema difficile: secondo la fenomenologia, infatti, il vissuto personale, pur essendo irriducibile ad una descrizione naturalistica, non per questo è inconoscibile e può essere, invece, avvicinato e compreso nelle sue strutture fondamentali.

L’applicazione del metodo fenomenologico nel campo della psicopatologia non rappresenta certamente una novità e nella scienza psichiatrica hanno spesso convissuto linguaggi differenti; ma nel panorama attuale, in cui lo studio e la comprensione del funzionamento mentale non possono mai prescindere completamente dai modelli neuro-cognitivi, sembra necessario giustificare e rifondare la coesistenza di più linguaggi descrittivi, in particolare in psicopatologia, dove rendere conto dell’esperienza umana appare, se possibile, ancora più importante.

Naturalmente, proporre un approccio fenomenologico non significa dimenticarsi del ruolo fondamentale che svolgono oggi le neuroscienze nella comprensione del pensiero umano, ma proprio perché non si discute questo ruolo, acquista ancora più significato la considerazione di alcuni possibili limiti dei modelli cognitivi e neurobiologici del mentale; in psicopatologia, questi limiti si riflettono nella differenza che intercorre tra lo studio attraverso metodi empirici di aspetti specifici della psicosi e la considerazione della persona in quanto dimensione globale e irriducibile. Se l’insistenza sul carattere incomprensibile di alcune manifestazioni della follia (tuttora presente nell’ambito della ricerca) può aver contribuito in misura non indifferente all’isolamento del malato dalla dimensione della normalità, la psichiatria fenomenologica, ricercando zone di comprensibilità nei vissuti apparentemente così distanti dal senso comune, come nel caso della schizofrenia, restituisce umanità alla dimensione della presunta “alienazione”. Inoltre, una delle caratteristiche che la fenomenologia cerca di mettere in luce è la normatività dei fenomeni di coscienza (adeguatezza delle percezioni, correttezza dei ragionamenti, appropriatezza delle emozioni), e potrebbe così completare le riduzioni naturalistiche che non hanno autentiche risorse per distinguere normalità e anormalità.

Friday, March 13, 2009

The third Cargese consciousness summer school



CONSCIOUSNESS OF THE SELF
CONSCIOUSNESS OF OTHERS

The Cargèse III European Summer School on Consciousness will be dedicated to the relations between self and others. The approach of Cargèse summer school is multidisciplinary, including philosophy, psychology, neuroscience, psychiatry, and anthropology.

It will take place from May 25th to June 4th 2009 at the Institut d'Etudes Scientifiques of Cargèse (Corsica, France).

Registration deadline: March 20th

Brunch e aperitivi con Sophia

Domenica 15 e lunedi 16 Brunch Philosophique e Aperitivi con Sophia

Teatro Franco Parenti in collaborazione con la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele

Domenica 15 marzo, ore 11.30
BRUNCH PHILOSOPHIQUE
Stimolati da un filosofo conduttore, i partecipanti, seduti ai tavoli, si confrontano su alcuni temi filosofici dalla sfera personale alla contemporaneità.

Animalia
Giuseppe Girgenti (Università Vita-Salute San Raffaele)

Lunedì 16 marzo, ore 18.30
APERITIVI CON SOPHIA
Filosofia e letteratura

Romeo e Giulietta: nascita e tragedia dell’io moderno.

Analisi filosofiche di Roberto Mordacci (Università Vita-Salute San Raffaele). Letture sceniche dirette da Anna Traini.

Tuesday, March 10, 2009

Phenomenology - Sciences - Philosophy


In April 2009 the Husserl-Archives Leuven will organize a four-day conference on the occasion of the 150th anniversary of Edmund Husserl's birth.



The title of the conference is:

Phenomenology - Sciences - Philosophy.
The director of the Husserl-Archives, Prof. Ullrich Melle, has prepared a brief document on the conference topic, available in English and German.

info:
Speakers & Titles
Programme
Information on Travel and Stay

Presentation

Phenomenology and Life-World

Phenomenology is a philosophical style and method, developed to respond to the new role that philosophy is currently being called on to play, namely to shed light on the relationship between the world of everyday life and those worlds discovered and investigated in recent centuries by the natural sciences, especially by physics, biology and the cognitive sciences. The world of life is that into which all our cognitive curiosity and emotional responses are born, and in which our interests, choices, actions, culture and institutions are rooted. It includes everything that manifests itself as life-world, whether concrete or intangible, good or bad, sacred or profane. And it includes us, human persons apparently capable of intentions and desires, of choosing and of being held accountable for our choices – even of sacrificing ourselves freely. But the objects and events of our everyday experience – red poppies and base betrayals; works of art and acts of theft; war and peace and, especially, we persons – find no place in the world of the natural sciences and the neurosciences, from which the only reliable answers to philosophical questions concerning the nature of mind and person are expected. And so our life, our convictions and our actions are traced back to unfounded presuppositions, thereby corrupting and impoverishing all our moral and civil life.

The Contemporary Mind

There exist today two widespread forms of skepticism relative to the world of life: Hermeneutic Relativism and Reductive Materialism. The former is currently (in the West) the philosophy of the dominant culture in the widest circles of knowledgeable people, while the latter is the dominant natural philosophy, especially with regard to man and the mind. Both are forms of skepticism relative to things immediately apparent on the horizon of everyday life, including ourselves, human persons. According to Hermeneutic Relativism there are no modes of immediate experience such as intuition, perception or feeling that are true to reality, the world being bound in language, culture and interpretation. But according to Reductive Materialism, phenomena are nothing but epiphenomena, appearances are nothing but illusions, shadows or dreams “caused” by a reality which is completely different from the apparent world, like the virtual world of Matrix. And today these two forms of skepticism are reaching out to and willingly completing each other.

Working Hypothesis

The Laboratory was created out of the experience - consolidated through dialogue - that no argument is conclusive against this scepticism concernng phenomena. It was developed in order to test the hypothesis from which phenomenology arose, but which each generation much rediscover for itself in the midst of contemporary research and debate: what is needed is not an argument, however complex, but a true revolution in the way of conceiving of the relationships between appearance and reality.

The need is felt today, from many sides, to affirm two principles which open new perspectives, one in philosophy of mind, and the other in analytic ontology: that our experience (not only sensorial but also that which includes affective sensibility, social cognition and structural intuition) is by no means reducible to subjective states or qualia, but is open to the real and the true and is also, for this very reason, fallible. And that the phenomenon is by no means the epiphenomenon of more basic realities, but rather the emergence of the essential properties of things: music is more in the melody than in the sounds, water more in the quenching liquid than in the molecules, the person more in her flourishing than in her biological bases. The identity of things is therefore determined, as it were, starting from the face they reveal to us. But these two theses are the two pilasters of the philosophical method to which Husserl gave the name phenomenology.

Phenomenology and Cognitive Science: removing the gap?

If the “hard problem” of consciousness consists in the difficulty of including qualia in an objective third-person paradigm that determines an apparently unsolvable explanatory gap, the phenomenological method may turn out to be useful for discussing the concept of qualia as an appropriate description of conscious experience or even of an aspect of itself.

The concept of qualia derives from the tendency used by cognitive neuroscience until quite recently to distinguish two fundamental features of mental processes: on one hand their representative ability or intentionality and on the other their qualitative character or phenomenological quality. This separability appeared as an advantage to many because, despite the difficulties of developing a scientific theory of the qualitative experience and of the phenomenological mind, there was still the independent field of the cognitive mind that could be explored even without a solution to the “mystery of consciousness”. From this point of view, Jerry Fodor’s thesis is emblematic. According to it, even if functionalism and materialism do not seem to be capable of explaining the qualitative content of experience, it is possible to concentrate on the construction of theories about how the mind creates a representational system and, thus, how to attribute the possession of intentional content to a mental state .

Is this classical assumption of cognitive science truly irrefutable? Can the phenomenological quality of experience be abstracted from its intentional content? According to the phenomenological notion of consciousness, it can be interpreted as a “presence of objects”. We are not, in fact, conscious of something if it is not somehow present, for example perceptively, as memory, imagination and so forth. Consciousness is therefore a propriety of experiences (Erlebnisse); it consists in types of manifestations of objects and not only states of the conscious creature. This propriety can be defined as “intentionality”. The fundamental point is that, according to phenomenology it is not possible to abstract the qualitative character of experience from its intentional content. Brentano, who identified the essence of psychic phenomena in intentionality, has always sustained a strict connection between consciousness and intentionality.

The explanatory gap often discussed in philosophy of the mind today refers to a supposed “privateness” or subjectivity of consciousness, of those of its states defined as qualia, which would be the residue that objective paradigms can not explain. But this description of consciousness may be inadequate. Maybe no experience since it is in an intentional mode and thus always presents objects in certain ways is destined to remain private and inaccessible. Phenomenology is made current by its rejection of the Cartesian dichotomy of the mental and the physical, in some ways still present in the separation between external and internal.

This redefinition of consciousness, however, requires the analysis of another fundamental tenet of the phenomenological tradition: the idea that the substance of things resides in their phenomenon. In fact, an ontological revision is necessary in order to escape the explanatory gap. The hard problem of consciousness is an aspect of a form of scepticism regarding the immediate experience determined by the more general scepticism related to phenomena characteristic of contemporary scientific culture. It is this last form of scepticism that it seems necessary to reconsider, through a revolution in the way of conceiving the relationships between appearance and reality, in order to seek an authentic way out from the dead end of the explanatory gap.

The Problem of Consciousness

Notwithstanding the constant progress of neuroscientific research, which seems to promise increasingly detailed and precise knowledge of mental functioning, some scholars believe, it is still a fundamental aspect of thought that has not yet found its place within scientific paradigms. There may be difficulties in attempting to give a satisfactory explanation of this particular aspect, which may be defined as “the problem of consciousness”.

The problem of conscious experience derives from its characteristic subjective quality which appears to accompany every conscious elaboration of thoughts, emotions, sensations and, more generally, every shape and nuance of interior life. Indeed, it seems that the infinite variety of our mental universe is often enlightened by a fundamental perception, which is at the origin of every sense of authentic identification with our own experience. Deep pain as well as the most intense joy can truly belong to our experience precisely because “they have a certain effect” on us and no one else, never completely communicable and also invisible under the strongest microscope.

Upon careful reflection, no element of the material or functional structure of the brain necessarily implies that a particular cognitive process or neurobiological organization is accompanied by consciousness. Therefore, it is possible that as long as we can trace the cortical roots of a mental state or its formal mathematical representation, something is still left unexplained that, by its very nature, can not be included in the efficient models of cognitive sciences. These are based on an analysis of the physical and functional properties of conscious experience and they do not necessarily also include intrinsic properties of subjectivity suggested by the intuition and language of common sense.

Effectively, the “explanatory gap” between the qualia and the scientific theoretical paradigms strictly in the third person can easily appear irresolvable. In this case, the subject at hand is the conceptual adequacy of a purely objective analysis as the premise for a thorough definition of human consciousness. The limits revealed by renowned “mental experiments” based on anti-reduction approaches regarding the translation of mental life only in physical or functional terms would be determined by the idea of reduction itself and not by technical deficiency. From this point of view, the promise of neurobiological research or the mirage of a new kind of physics – that, for example, shifts the definitive explanation of the mind to the subatomic level – might not be able to fully satisfy the explicative and descriptive needs of the person.
But also recognising the ontological consistency of subjectivity and avoiding the epiphenomenist approach, it could be hypothesized that qualia knowledge is denied absolutely because language and knowledge are founded on an objective structure that, by definition, can never completely explain subjective phenomena. This is the usual solution adopted by “mystery theories” that admit the reality of consciousness (and the relationship of the individual with his own consciousness) but deny that its essence can be described or understood, perhaps also due to the original limits of human brain.

We would do well to remember that, in this case, the term “consciousness” does not mean the simple ability to be aware, which can be defined as a form monitoring of one’s own thoughts, but the subjective experience felt through being aware. This idea is generally expressed by distinguishing between the concepts of the “phenomenical” and “cognitive” mind. If the role of the second seems increasingly defined and crucial when explaining psychic activity, the placement of the first still escapes the natural order. Following the models of neuroscience, our thought increasingly seems like the result of an enormous quantity of unconscious elaborations and biochemical processes and the phenomenical consciousness could also appear as a reflection of this deep level, a simple echo without an authentically active role: “you are your synapses”. In this paradox, all the distance separating the ideas of common sense regarding the nature of the mind from the theories and models of sciences seems to coalesce.

On one hand, cognitive science interprets the mind as a representational system (in a wider sense, also extended to neurobiological and connectionist models) and creates the bases for including thought and interior life into the paradigms of the natural sciences. More and more clear are the mechanisms that permit a brain to produce those cognitive abilities that determine intelligent performance by interpreting environmental perceptive input in order to construct a suitable rational response. On the other hand, in this cognitive notion of the mind, consciousness seems to play no significant role. After all, a computer certainly does not appear conscious in the sense we are when we say we have experiences, however it can exhibit intelligent behaviour, which can be described with mentalistic language that is perfectly comprehensible to the cognitive sciences.

Therefore, it is understandable why many scholars claim that the many leaps in neurobiology as well as in cognitive model development of conscious experience can not yet provide a satisfactory explanation of why being conscious has a “certain effect”, thereby defining the true qualitative difference that distinguishes us as persons. It is, in fact, in the conviction that consciousness possesses this particular qualitative or intrinsic character along with the relational properties of its cognitive and neurobiological structures, which seems to open up an explanatory gap in the naturalistic explanations of subjectivity.

The possibility of attributing functional states to a system that, even thought it exhibits identical behaviour to that of a person, has no authentic subjective experience is the basis of one of the most famous questions of the criticism of reductionist approaches to the life of the mind. If it is logically possible that particular cognitive or neurobiological states (thus functional, in a broad sense) are unaccompanied by consciousness, then the latter does not seem to be explainable by the simple possession of those states. This problem also appears if specific laws are found that link neurobiological or cognitive states to conscious states, since it would still be necessary to explain why these laws exist. Once again, if a world where these laws do not exist is logically possible or conceivable, the genesis of consciousness in our world is yet to be explained.

Furthermore, even admitting a “multiple realizability” of mental states and shifting from classical reduction to functional explanations, the problem of consciousness remains unchanged. Functionalist models reconstruct, in relational terms, the properties to be reduced, but they offer no explanation of the intrinsic qualities that subjective experience can have. To be concise, a reductive explanation of a phenomenon develops through an analysis that is necessarily expressed in objective and extrinsic terms, which could be inadequate, by definition, to fully explain the subjective character of consciousness.

If the explanatory possibilities of reductionist approaches still appear rather uncertain, the definitive renunciation of a satisfying explanation of consciousness could have unpleasant consequences. Above all, an essential characteristic of human nature, such as is subjectivity, the fundamental centre of all thought and existence, could be condemned to eternal mystery. In addition, the impossibility of including consciousness in natural science could justify epiphenomenist solutions: consciousness exists but has no function; it is like a shadow or a phantom of the true mind that is structured neuro-cognitively.

From this point of view, the subject that can best support reductionist approaches refers to mental causality. If mental states are to be effective in the physical world and if, at the same time, following the second law of thermodynamics, we believe that only physical causes have physical effects, it is than necessary to systematically link mental and physical properties. If we expect consciousness not just to be a phantom, it should be possible to describe it in physical terms. Vice versa, the consistency of an anti-reductionist approach is forced to take another look at the nomological closure of physics. The exploration of causal pluralism strategies could be a possible alternative to overcome this difficulty, even if the problem is probably only being postponed. What is the relationship between different levels, for example between physical causes and psychological reasons? How do they interact in an individual?

Despite these difficulties and also taking into account the obvious importance of developing neurobiological and cognitive theories of mental functioning, it may seem necessary to take seriously the qualitative states in their refractoriness to naturalistic analysis, even if only to be able to render the subjective experience as fully as possible. One part of the solution could consist of clarifying, as much as possible, the nature of the problem and the terminology used to express it. What is meant by “explanatory gap”? Is the notion of qualia the right way to present the irreducible character of the conscious experience?

Furthermore, if a fundamental problem of conscious experience is to link third-person data with first-person data, the development of more sophisticated methodologies to investigate first-person data and of formalisms to express them is one of the biggest challenges that the neurosciences must face. In this way, it could be useful to investigate the strategies of phenomenological method to more precisely define the structures of the subjective experience.